sabato 21 febbraio 2009

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Palcoscenico - Sabato teatrale su Ma Ki Te Vole / 4

Una piccola trattoria all'antica. Otto tavolini tondi coperti da una tovaglia a quadretti bianchi e rossi. Un coperto per tavolo: una trattoria per uomini soli. Al centro di ogni tavolo, una candela accesa. Sul fondo un quadro che rappresenta una trota appena pescata. I tavoli sono disposti in fila, uno dopo l'altro. Al secondo da destra, apparecchiato invece per due, siede un uomo calvo: dà le spalle al quadro, e piange in silenzio. Davanti a sè ha un piatto, nel quale ogni tanto infila svogliatamente una forchetta, poi si soffia rumorosamente il naso. Continua così per tre volte, finchè entra il cameriere.

C - Il signore ha chiamato?
U - Sì, ha chiamato la mia povera moglie!
C - Quando è successo?
U - Tra il risotto e il leprotto...
C - Qualcosa non andava?
U - E' successo tutto all'improvviso!
C - Le porto il conto?
U - Badi che ho la tessera del dopolavoro ferroviario!

Il cameriere raccoglie i piatti dal tavolo e ritorna da dove è venuto. L'uomo calvo rutta rumorosamente e si nasconde sotto il tavolino.

17 commenti:

Anonimo ha detto...

il draumaturco ci conduce in questa piece in medias res. l'evidente stridore della trota dipinta con la frase che rima 'risotto e leprotto' centellina, oserei dire stilla il dolore della scoperta dell'essere umano: niente è ciò che dovrebbe essere. Il cameriere funge da ermeneuta, anzi, da levatrice. Estrae le parole dall'uomo suo malgrado, gli consente di visibilizzare un dolore pregno di desolazione e, alla fine, di 'portare all'esterno' tramite la violenza di quello che non è un rutto, ma IL RUTTO, cioè il parto vero e proprio della sofferenza.
il signor Mik ancora una volta centra l'obiettivo.

Vlad ha detto...

Il senso maieutico rilevato da Xenia viene abilmente filtrato da una ambientazione interamente e intelligentemente giocata su continui e densi riferimenti all'arte figurativa del novecento:
dall'iperrealismo 'rustico' della trota raffigurata nella natura morta appesa alla parete, all'astrattismo (mi spingerei addirittura a scomodare il neoplasticismo) che trapela dal contrasto tra i tondi tavolini e i quadretti a colori accesi delle tovaglie, all'espressionismo dada del rutto finale.
Il Geniu Loci trasmette complessivamente un senso quasi impressionista alla scena in cui l'Uomo viene rappresentato come vittima di un naufragio che si rinnova costantemente nella quotidianità. Il cameriere veste inconsciamente i panni del gran sacerdote che celebra il rito pagano e materialista culminante nella richiesta del Conto. L'uomo cerca disperatamente rifugio nel senso di appartenenza ma, dopo il fallimentare tentativo di riscattare la propria identità nel rutto, ripiega nella fuga che resta l'unica possibilità di salvezza.
Lo spettatore viene lasciato ad interrogarsi se il vino fosse fermo o frizzante...
Scenografie di Teomondo Scrofolo;
Musiche di Alban Berg
http://www.youtube.com/watch?v=-xtiBEc4RUc

Micheluzzo ha detto...

Se un giorno dovessi morire, voglio che scriviate l'introduzione alla mia Opera Omnia: non ho mai trovato esegeti più densi di significazione di Voi due.

Ben ha detto...

ragazzi,
siete troppo... siete troppo!
Mik, se sole poche righe hanno fatto partorire tali commenti, pensa tu un' opera intera...

Vlad ha detto...

in caso, io mi occuperò dell'epitaffio. Prometto però che saranno pochissime parole; sulla pietra bisogna essere molto, ma molto sintetici, come dire, lapidari...

api ha detto...

nessuno ha capito il simbolismo profondo della trota.
l'anagamma di trota è torta.
la torta, che normalmente arriva a fine pasto, sta a indicare la sinusoide che termina l'esistenza di questo pover'uomo, calvo, ex ferroviere (anche questo è un elemento da voi sottovalutato: il viaggio, l'Odissea).
il ciclo di tre sternuti... il tre è il numero perfetto, perfezione che contrasta con la perdita repentina della moglie.
'tra il risotto e il leprotto.'
Anche qui, il nostro drammaturgo essenziale e geniale ci pone di fronte a un dilemma.
tra il risotto e il leprotto (cucciolo di lepre, simbolico della velocità, della breve durata della giovinezza)
o lo zafferano di codesta marca, peraltro ottima?

il cameriere, Caronte del ristorante, traghetta infine l'uomo da una disperazione profonda a una sonora liberazione, in forma di rigurgito, che porterà infine il nostro novello Ulisse alla Catarsi.

Anonimo ha detto...

mmmhhh, la catarsi avverrà attraverso lo scatarrarsi? ho intuito giusto, cara collega Apilosofa?

api ha detto...

la nostra sintonia è a momenti imbarazzante,xeny.

Vlad ha detto...

Ammazza, Api! Sono ammirato!
La tua lettura positivista è sorprendente. Ma la connessione evidente tra il pover'uomo e la sua calvizie trattiene qualche significato recondito?...

api ha detto...

certo.
l'uomo è calvo, nudo, impotente di fronte alle mazzate della vita.
infatti, con il rutto finale, gli rispunta una cioma alla Angela Davis.

api ha detto...

la cosa alla quale invece non riesco a dare una risposta è la citazione dei due otto, oltre al tre.
ris-otto, lepr-otto. tre cicli di sternuti.

gli otto-otto-tre?
e dov'è sparito l'altro degli otto-otto-tre? forse soffriva di allergia alle graminacee? agli acari?

alla fine è forse questo il messaggio finale di questo dramma moderno?

mik, dammi un segnale di vita.

Anonimo ha detto...

a mio parere il punto fondamentale è il rapporto euristico, di chiara impronta postmoderna, che si viene a instaurare alle terga di un'esistenza oramai sconfitta ma ancora sull'orlo del precipizio ancorché distratta, nella sua infinitissima angoscia, dal quadro della trota, che infatti è pesce risalente il fiume -fiume della vita, fiume in piena mai sotto controllo- ma che è anche oggetto raffigurato e dunque imprigionato in un laido quadro appeso alle pareti nude della trattoria, altra lampante metafora della straziante correlazione fra freddo interiore e anelito a riempirsi lo stomaco, quello allegorico, di tante piccole importantissime cose: leprotto e risotto, non a caso, che terminano ambo nel magico otto, peraltro notoriamente simbolo-numero evocante l'infinito, che il malcapitato calvo, ahimè, cerca di concepire e poi resistergli con il suo rutto a polmoni pieni, anche se non può illudersi quanto all'inevitabilità dell'arrivo della fine, del conto, della sua vita da pensionato del dopolavoro ferroviario.

Difficile credere ci siano parole più adatte per ruttare con il sentimento del nihil.

Non so voi, ma io sono davvero lacerato.

Micheluzzo ha detto...

Alcuni chiarimenti necessari:
il biondino degli ottoottotre fa il cameriere nella trattoria;
il quadro della trota è un lascito della precedente gestione;
l'uomo è calvo perchè, dopo aver indossato per trentacinque anni il cappello da ferroviere, questo è il risultato;
il pesce, come voi ben sapete, è il simbolo che usavano i primi cristiani per riconoscersi e che ancora oggi è visibile in alcune catacombe;
tutti gli altri tavoli sono apparecchiati per un solo coperto;
la fuga del pensionato è in realtà un chiudersi in se stesso, per affrontare rinfrancato la resa dei conti (anzi, del conto).

Vlad ha detto...

a leggere di trote, leprotti, risotti, mi viene fame. E se fosse stracotto? (anche qui ricorre l'otto...)

Anonimo ha detto...

MiiiK, Vlad mi ha messo un dubbio di natura escatologica: ma che forse era Bombolo il tuo personaggio ferroviere?

Micheluzzo ha detto...

Non l'ho immaginato così. Piuttosto, era simile a Telly Savalas (che era di origine greca, quindi traete un po' voi le conseguenze...).

Anonimo ha detto...

mangiava il leprotto con le olive (greche)?

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