giovedì 19 febbraio 2009

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Abituarsi al freddo

Al freddo ci si comincia ad abituare, se al mattino si trova anche un bel cielo azzurro in cui il sole splende insolitamente neutro, negando quel tepore che sarebbe logico attendersi da un concentrato simile di reazioni nucleari. Un interessante indicatore del grado di temperatura toccato dalla colonnina di mercurio, come dicono nei servizi dei telegiornali che raccontano l'Italia nella morsa del gelo, un interessante indicatore è quello costituito dagli sputi che fanno bella mostra di sé sui grigi marciapiedi milanesi, alcuni bianchi, ampi e gonfi, altri giallastri, mucosi e smorti: è un bell'esercizio lo slalom mattutino tra le macchie di saliva e le cacche di cane, mentre ti affretti a correre verso la stazione della metropolitana per il tuo consueto tuffo nell'umanità che si disperde nella periferia nord del capoluogo. Ti ritrovi stretto alla barra di freddo acciaio senza neanche il conforto di un accompagnamento musicale, perchè il lettore mp3 ha le pile scariche, e i mendicanti suonatori salgono solo nelle stazioni del centro città: lui con un giaccone a scacchi che suona la fisarmonica, mentre la giovane moglie (si usa ancora il matrimonio?) cammina tra i passeggeri, un fazzoletto verde le raccoglie i capelli sulla nuca, con un bambino di pochi mesi in braccio e il consueto cartoccio per le offerte. Tutti e due hanno forse vent'anni, e non sono molto alti: chissà il figlio come sarà.

Pochi secondi e poi via verso altri sguardi, in un rapido esci ed entra, dall'ultima porta dell'ultima carrozza alla prima porta della penultima carrozza: disagevole sì, ma tante volte fortuna vuole che la carrozza sia un lungo, affollato serpentone metallico (una carrozza al posto di tre, per intenderci), ed è uno spettacolo ammirare, in piedi dal fondo, le spalle che danno verso il nulla delle rotaie che la metro si lascia alle spalle, come questo essere a sangue freddo affronti le curve sotterranee, con armonia e decisione soprattutto. Non fai in tempo a finire di fantasticare su una storia in cui un serpente si muove davvero nelle viscere di Milano mangiando pendolari e studenti che sale un'altra zingarella, una giacchetta di lana, una gonna ampia, scarpe da ginnastica, che attraversa da parte a parte la carrozza, si dirige verso il fondo e comincia a recitare con voce monotona:

Sono una madre di due bambini

Sono senza lavoro

Senza mangiare, senza vestiti:

Datemi vi prego qualcosa da mangiare

etc. etc.

E' la stessa dell'altra volta, non c'è dubbio, dice sempre le stesse cose, chissà se lei stessa almeno ci crede, alle cose che urla.

Ma pochi le prestano attenzione: chi legge un libro, come quel signore seduto davanti a voi con barba e occhiali, ha in mano un dizionarietto tascabile, legge e quando trova qualche parola nuova la annota in fondo al libro, dove ci sono quelle pagine bianche tra la parola Fine e la copertina con la foto dell'autore, le pagine sono piene zeppe di parole scritte a penna ed è ancora a metà libro, o ha cominciato da poco a studiare quella lingua o ha una pessima memoria, chissà, chissà come fa a leggere mentre quel ragazzo appena uscito da scuola ascolta musica ad altissimo volume nelle sue orecchie, si sente l'eco in ogni posto, più forte dello stridere dei freni sulle rotaie, delle porte che si aprono, la voce femminile che annuncia la stazione, finalmente la vostra, qui si scende e si cambia linea, si prende la rossa che lascia più vicini a casa.

Un signore con un cappotto nero e un largo cappello nero, tipo Borsalino, si avvicina, vuole sapere se è la direzione giusta per andare verso Sesto o se ha sbagliato banchina: può stare tranquillo, si va a Sesto, è scritto anche sul tabellone là in fondo. Lui sorride, chissà perchè, poi ti molla una pacca affettuosa sulla spalla destra, e si allontana con la sua valigetta.

Quando arrivi a destinazione, e scendi in fretta e percorri il marciapiedi verso l'uscita, finalmente verso il sole e la luce, alla tua destra i cartelloni dei film in uscita o delle bellezze della Siria, guardi alla tua sinistra, e dentro la terza carrozza lo trovi seduto, tutto serio: chissà a cosa sta pensando.

Tu inizi a pensare a cosa cucinare per il pranzo.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

prima di crollare dal sonno dovevo proprio dirtelo: hai gli occhi giusti per vedere. bravo MIk

Micheluzzo ha detto...

Grazie Xenia. Ma il sonno ti è venuto mentre leggevi il mio post?

Anonimo ha detto...

che bel post, papi.
hai davvero l'occhio acuto e disincantato del filosofo disoccupato.
ti voglio tanto bene anche se non mi paghi lo scuter.

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