martedì 31 marzo 2009

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I comunicatori

L'aereo non si è ancora fermato che già qualche spericolato si toglie la cintura e si alza in piedi. Signore, stia seduto!, lo fulmina la voce dello steward dal fondo dell'aereo, Non ci siamo ancora fermati!
Poi l'aereo si arresta e tutti scattano in piedi, pronti a uscire, la valigia in una mano, il telefonino nell'altra. Subito risuonano le suonerie di avvio dei cellulari, le melodie dei messaggi ricevuti mentre l'apparecchio era spento, in volo sul Tirreno. I più bravi già chiamano casa, avvisano la madre, la fidanzata, Sì, sono arrivato, no, volo tranquillo, sì, qui fa più freddo, no, non l'ho ancora chiamato..., e via chiacchierando.
Finalmente la porta posteriore si apre, la gente scivola via, dalla scaletta discendono verso il bus che conduce i più fortunati all'uscita, gli altri al ritiro dei bagagli. L'aria è frizzante, il cielo grigio, un altro aereo poco lontano sta atterrando sull'altra pista. Sul bus sono davvero tutti impegnati a far l'amore con il proprio telefono: chi chiama un cliente per confermare che a momenti, appena preso il taxi, sarà presente nel tal luogo, quell'altro che parla ancora con i parenti, uno invece chiama la fidanzata, mentre quello che gli sta di fianco racconta compiaciuto al suo interlocutore che non c'è stato nessun problema, durante il volo (ma se ce ne fossero stati, di problemi, difficilmente avrebbe potuto raccontarlo ai parenti laggiù in Sicilia...). Li guardo con attenzione, e ascolto il loro confuso vociare, mentre accendo il mio telefonino e mando un paio di messaggi per dire che sono a Milano, basta una sola parola, un participio passato: arrivato.
Mi domando un tempo come si viaggiasse, in quali condizioni fisiche e psichice riducesse l'ansia di non poter avvisare nessuno a casa, il non poter comunicare dall'aereo stesso di essere appena atterrati, i motori ancora caldi, le mogli e le fidanzate e le madri fisse a casa, attaccate al telefono, gli occhi inquieti a cercare di leggere l'ultimo memoriale di Padre Pio pubblicato su Gente, a contare i minuti e le ore sulle lunghe lancette dell'orologio analogico in cucina, appeso sopra la televisione, e poi i telefoni a gettone presi d'assalto dai primi fortunati che sbarcavano nella sala degli arrivi, e le maledizioni perchè in tasca c'erano solo le duecento lire, ma ce ne volevano di più, per una chiamata interurbana verso casa...

6 commenti:

Ben ha detto...

beh, Mik, mi sa tanto che utilizziamo il cellulare nel solito modo: solo l'essenziale. Certo, a volte ho esagerato, usando anche due parole: "a casa". Ma in quel caso stavo richiamando all'ordine mia figlia che era in ritardo di qualche minuto. Forse avevo messo anche un punto esclamativo, per dare più consistenza al messaggio.
I gettoni me li ricordo, eccome. Prima di ogni partenza che prevedeva un soggiorno di qualche giorno, li raccattavo da tutte le parti e li mettevo in un sacchettino. Nella lista delle cose da portare, era l'ultima. veniva dopo: saponetta, dentifricio, spazzolino, insomma, la roba da beauty-case.
E poi, soprattutto la sera, fila alle cabine per telefonare a casa. Ma perchè poi di sera? Forse duravano più a lungo?

Micheluzzo ha detto...

La sera c'era la tariffa ridotta... anch'io quand'ero militare chiamavo a casa la sera dopo cena.

Giuseppe Gatto ha detto...

Sante parole mik, sante parole.. io quasi non me lo ricordo ipù come facevamo! ... ah già .. ma io viaggiavo in treno!

api ha detto...

Le cabine telefoniche, u mama... è vero!
io ricordo che a Scurano c'era il bar con la cabina a scatti, in un seminterrato in cui c'erano jukebox, flipper e calcetto.
E quando chiamavo il fidanzatino lontano... crepavo dal caldo all'interno della cabina, e fuori c'erano gli amici che mi facevano i gestacci e mi scappava da ridere.

Ma pensa, Mik, a quelli che sono partiti in nave, per l'America...

Micheluzzo ha detto...

A quel tempo usavano i piccioni viaggiatori...

Vlad ha detto...

il cellulare ormai è strumento necessario. Quando la batteria ti radisce e ti lascia a piedi, ti senti alla deriva; ma quando succede che me lo dimentico da qualche parte, mi rendo conto che si sta molto bene senza.
Il problema è che il resto del mondo non se lo dimentica quando me lo dimentico io...

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