Lo scrittore: "Grazie a chi resiste"
Grazie a tutti coloro che hanno ricordato le persone che vivono nella mia stessa condizione rendendole così un po' meno sole, un po' meno invisibili e dimenticate.
Grazie a tutti coloro che mi hanno difeso dalle accuse di aver offeso e diffamato la mia terra e a tutti coloro che mi hanno offerto una casa non facendomi sentire come uno che si è messo nei guai da solo e ora è giusto che si arrangi.
Grazie a chi mi ha difeso dall'accusa di essere un fenomeno mediatico, mostrando che i media possono essere utilizzati come strumento per mutare la consapevolezza delle persone e non solo per intrattenere telespettatori.
Grazie alle trasmissioni televisive che hanno dato spazio alla mia vicenda, che hanno fatto luce su quel che accade, grazie ai telegiornali che hanno seguito momento per momento mutando spesso la scaletta solita dando attenzione a storie prima ignorate.
Grazie alle radio che hanno aperto i loro microfoni a dibattiti e commenti, grazie specialmente a Fahrenheit (Radio 3) che ha organizzato una maratona di letture di Gomorra in cui si sono alternati personaggi della cultura, dell'informazione, dello spettacolo e della società civile. Voci che si suturano ad altre voci.
Grazie a chi, in questi giorni, dai quotidiani, alle agenzie stampa, alle testate online, ai blog, ha diffuso notizie e dato spazio a riflessioni e approfondimenti.
Da questo Sud spesso dimenticato si può vedere meglio che altrove quanto i media possano avere talora un ruolo davvero determinante. Grazie per aver permesso, nonostante il solito cinismo degli scettici, che si formasse una nuova sensibilità verso tematiche per troppo tempo relegate ai margini. Perché raccontare significa resistere e resistere significa preparare le condizioni per un cambiamento.
Grazie ai social network Facebook e Myspace, da cui ho ricevuto migliaia di messaggi e gesti di vicinanza, che hanno creato una comunity dove la virtualità era il preludio più immediato per le iniziative poi organizzate in piazza da persone in carne e ossa.
Grazie ai professori delle scuole che hanno parlato con i ragazzi, grazie a tutti coloro che hanno fatto leggere e commentare brani del mio libro in classe. Grazie alle scuole che hanno sentito queste storie le loro storie.
Grazie a tutte le città che mi hanno offerto la cittadinanza onoraria, a queste chiedo di avere altrettanta attenzione a chi concedono gli appalti e a non considerare estranei i loro imprenditori e i loro affari dagli intrecci della criminalità organizzata.
E grazie al mio quotidiano e ai premi Nobel e ai colleghi scrittori di tante nazionalità che hanno scritto e firmato un appello in mio appoggio, scorgendo nella vicenda che mi ha riguardato qualcosa che travalica le problematiche di questo paese e facendomi sentire a pieno titolo un cittadino del mondo.
Eppure Cesare Pavese scrive che "un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti".
Io spesso in questi anni ho pensato che la cosa più dura era che nessuno fosse lì ad aspettarmi. Ora so, grazie alle firme di migliaia di cittadini, che non è più così, che qualcosa di mio è diventato qualcosa di nostro. E che paese non è più - dopo questa esperienza - un'entità geografica, ma che il mio paese è quell'insieme di donne e uomini che hanno deciso di resistere, di mutare e di partecipare, ciascuno facendo bene le cose che sa fare. Grazie.
(la Repubblica)
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