sabato 20 settembre 2008

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racconto di api e un po' vlad

E' appoggiata al banco, è sola e beve una spremuta. Per terra vicino alle gambe, ha una borsa di pelle nera e non so per quale motivo vengo attirato proprio da questo particolare.
Ho passato una notte infernale, sono stanco morto e non ho nessuna voglia di uscire dal bar, infilare il portone principale di questo palazzo, salire al piano esattamente qui di sopra ed entrare nel mio ufficio.
Non ho voglia di sentire la voce dei collaboratori, il rumore insopportabile di telefoni che squillano, il fruscio di fax in arrivo.
Non ho più voglia di fare nulla, nemmeno di sorbire questo schifo di caffè che si sta lentamente raffreddando. Silvia se ne sarà già andata di casa, ora, lasciandomi solo il suo profumo sul cuscino. Mi manca già da morire. Ho un nodo allo stomaco.Vorrei andare via anch'io, sparire nel nulla.
E invece sto qui come un cretino a pensare alla mia donna che sta salendo su un treno che la porterà via per sempre da me, da noi, dalla nostra vita, diventata ormai solo la mia. Fisso ancora la ragazza: è' la sua postura, che mi lascia perplesso. Rigida, nervosa, il bicchiere che trema nella mano.
Un'altra che sta soffrendo, come me.
All'improvviso prendo una decisione: mi alzo di scatto, saluto il barista con un gesto affrettato ed esco dalla porta a vetri a passo veloce. Cammino a lunghe falcate, quasi corro. Sono un patetico uomo di mezza età che si muove velocemente tra la folla, l'espressione disperata di chi non ha più nulla da perdere, la goffaggine nei movimenti di chi non fa più sport da parecchi anni. I passanti mi guardano con aria sorpresa, si spostano, sussurrano parole che non percepisco.
Sento un rumore fortissimo provenire da lontano: sembra un tuono, non mi fermo.
Ora sono davanti all'entrata, ho il fiatone, il cuore mi sta scoppiando per lo sforzo.
Scendo correndo i gradini del sottopassaggio, risalgo velocemente. Mi fermo, piegato in due dal dolore alla milza.
La coda del treno per Bologna sembra sbeffeggiarmi: Silvia è là dentro; io qui, come un cretino.
Sommerso da un senso di impotenza e dal disagio di non riuscire a respirare dalle fitte, mi sembra di percepire un rumore odioso: sirene. Tante sirene, polizia, ambulanze, vigili del fuoco.
Mi appoggio al muro, gli occhi sbarrati. Il mio telefonino inizia a vibrare, ma non ho nessuna intenzione di rispondere.
Di fianco a me una donna sta parlando al telefono, gli occhi sbarrati di paura, emette un grido disperato di gola: interrompe la comunicazione mi fissa e iniziando a singhiozzare mi abbraccia,.“Hanno fatto esplodere il bar di Via Gorizia per colpire l'Ambasciata degli Stati Uniti. È appena successo.”
Rimango immobile, come se non avessi capito.
La mente inizia a recepire la portata di quello che è successo.
Io, l'Ambasciatore, inizio a piangere. Sono vivo.
La donna che mi sta abbracciando allenta lentamente la presa e si ritira un po' imbarazzata.
La fisso negli occhi colmi di lacrime e non capisco più dove sono. So solo che sono vivo.
Faccio fatica a riprendermi e mi lascio scivolare lentamente lungo il muro alle mie spalle.
Mi prendo la testa tra le mani e sento dei tuoni in lontananza, al di là dei binari.
Il cielo cupo minaccia un temporale. C'è afa. Aria bassa.
Spero che arrivi, voglio che arrivi subito: voglio provare ancora sensazioni antiche, provate nelle estati da ragazzo.
Voglio le cose che non ci sono più...

3 commenti:

Anonimo ha detto...

sarà perché mi sono appena svegliato, ma mi avete proprio preso alla sprovvista.
Adesso mi faccio la doccia poi magari riesco a capirci qualcosa
Paolo
(da San Francisco!)

Catia ha detto...

Paolo sveglia!!! Ma quale Paolo sei?

api ha detto...

Paolo Federici, sei un mito!!!!!!!

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