Senza re né regno è un modo di dire che ricorre spesso nel bel romanzo di Domenico Seminerio.
Sta a indicare la condizione, tanto spirituale quanto materiale, di chi si trova a vivere privo di riferimenti: e vede in questa mancanza di ordine e di regole un' opportunità, una possibilità, un'occasione da sfruttare per il proprio tornaconto. Un po' quello che accade al protagonista Stefano: fuggito dalla Sicilia dopo aver creduto agli ideali separatisti (e aver combattuto per essi) che per qualche tempo aleggiarono sulla nostra terra, approdato in un paesino del nord Italia per ricostruirsi un'esistenza, incontra un vecchio commilitone condannato al confino: e il richiamo della terra natale torna a farsi prepotente. Il ritorno a casa diventa quasi una sorta di educazione di un criminale (di quello che oggi si direbbe un fiancheggiatore o un colletto bianco, uno di quelli che stanno in quella zona grigia frequentata anche da pezzi di Stato...). Si ritrova dunque coinvolto, prima quasi contro voglia, poi con un ruolo attivo, in un'oscura trama che intreccia affari e politica nel panorama della Sicilia del dopoguerra, dove il sistema clientelare e l'incontro tra mafia e mala politica comincia a dare i propri frutti avvelenati.
La soluzione non lascia spazio all'ottimismo: tanto meno la tragica fine di Stefano può essere di alcuna consolazione. L'amarezza rimane in noi lettori, già abituati a considerazioni simili dai romanzi di Leonardo Sciascia, dove però il punto di vista è quello, solitamente, dell'uomo della legge che combatte la criminalità, mentre con Seminerio il punto di vista è quello di un aspirante criminale che non esita a sacrificare e a lasciar violare perfino la propria intimità pur di compiacere il potente di turno. Abilmente Seminerio fa risalire lo sfacelo odierno delle istituzioni regionali a quell'epoca di ricostruzione, di malaffare, di commistioni tra potere criminale e potere legittimamente eletto: ma eletto da chi, se non da quel medesimo potere criminale? Purtroppo le colpe vanno divise tra politici siciliani e politici nazionali, e la loro miopia unita ad una volontà predatrice senza confronti, e gli elettori siciliani, abituati a chiedere poco ai loro rappresentanti e a ottenere ancora di meno.
Ma le tristi riflessioni che la lettura di questo romanzo ci suscita vengono in parte mitigate dalla contentezza di aver scoperto un bravo scrittore, e un abile narratore di (fantasiosi) fatti di casa nostra.
9 commenti:
No dico: questo è Mik, il mio socio e sono fiera di lui anche se è inguardabile.
Altro che Enrico, Pino, Peggy...
dài, Catia, qui abbiamo un essere che fino a ora è riuscito a nascondere, molto bene, la sua intelligenza e la sua vastissima cultura.
W Mik.
Grazie Api, è per questo che ti voglio bene, perchè sai sempre trovare le parole adatte a distruggere la mia autostima.
Ti abbraccio.
se sei permaloso e rancoroso e supponente e spacamaroni non è mika colpa mia.
stasera api cucina il vitel tonnééééé.
Incredibile ma vero.
il vitello però non ci stava nella pentola, lo sto cuocendo con il vaporone polti.
Ti piace maltrattarmi e poi vedermi piangere. Sei cattiva con me, come il Tasciugo De Longhi!!!
smettila che il vitello mi scappa. non ciò tempo per ascoltare le tue fregnacce.
lo vado a riprendere io con l'Hummer e ci faccio direttamente delle svizzere...
Comunque caro Mik hai sollecitato la lettura. Io però devo finire i dieci libri che ho sul comodino; compreso uno di Paola...
Te lo regalo io, va bene?
Quando è il tuo sessantasettesimo compleanno?
mancano ancora quarant'anni...
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