venerdì 4 dicembre 2009

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Il talento nella letteratura, come pesarlo, di Giovanni Pannacci (segnalato da Xenia)


Prendiamo un romanzo, lo leggiamo, lasciamo che ci accompagni per qualche giorno, poi lo chiudiamo e gli diamo un posto. Una collocazione fisica nella libreria e una collocazione mentale nel nostro personalissimo archivio dei libri letti.

Ma quali parametri utilizziamo per “pesare” la qualità di un romanzo, per decidere se ciò che abbiamo letto è letteratura mediocre oppure ottima?

Tutti noi, di romanzo in romanzo, abbiamo sviluppato, credo, una certa abilità nel riconoscere quelle piste letterarie destinate a condurci verso trame e sviluppi avvincenti e – di contro – a fiutare altrettanto repentinamente quelle tracce che da subito si capisce non condurranno da nessuna parte. Cos’è, dunque, che in un romanzo ci cattura? Quali sono, in una narrazione, gli elementi che ci fanno chiudere l’ultima pagina con il cuore colmo di emozione e gratitudine?

Non è la trama né l’intreccio, né i dialoghi né l’ambientazione, né l’abilità tecnica dell’autore.

Abbiamo tutti amato romanzi ricchi di azione, ma ricordiamo con struggente piacere anche romanzi capaci di raccontare il vuoto, il nulla, il rarefatto frammento di un attimo.

Amiamo i dialoghi scattanti e serrati, ma anche le digressioni che, come lente maree, ci trasportano al largo. Amiamo la letteratura così detta di genere, ma anche il romanzo di stampo classico o quello più “sperimentale”. Ma allora cos’è che andiamo a cercare per “pesare” la qualità di un romanzo? Dopo averci riflettuto un po’, m’è tornato in mente un breve saggio scritto dal premio Nobel Orhan Pamuk (“La valigia di mio padre” Einaudi, 2007) e ho capito che in un romanzo dobbiamo cercare la cosa all’apparenza più difficile da trovare, quella più invisibile e leggera: un ago. Se il romanzo è ben riuscito, il suo autore deve per forza aver lasciato un ago nascosto fra le pieghe delle pagine.

Scavare un pozzo con un ago, spiega Pamuk, è la splendida immagine che nella lingua turca si usa per descrivere il lavoro dello scrittore. Se un romanziere ha costruito la sua storia come se avesse scavato un pozzo con un ago, noi lettori ce ne accorgiamo immediatamente. La pazienza, il rigore, la perizia, fanno sì che nel romanzo si crei una forza e una saldezza interna che tiene insieme tutto.

Perché è questo, in definitiva, ciò che chiediamo allo scrittore: di essere coerente.

Siamo felicissimi di farci trasportare in luoghi lontani o addirittura inventati, siamo dispostissimi ad accettare l’esistenza di mostri, di creature bizzarre o di uomini e donne dalla personalità complessa. Siamo docilmente disponibili a seguire lo scrittore ovunque egli voglia portarci, ma una volta lì pretendiamo coerenza, esigiamo che la finzione non sia fittizia, ma che sia vera fino al fondo più profondo della menzogna. Ecco, se il pozzo della finzione è scavato con poche bracciate scomposte, magari usando sgraziatamente una vecchia pala o, peggio, una trivella rumorosa e arrugginita, io me ne accorgo. Se invece, pagina dopo pagina, mentre leggo, avverto il lievissimo rumore bianco di una punta minuscola che gratta le pareti della mia attenzione, so che, abbandonato da qualche parte nella storia che sto leggendo, c’è un minuscolo ago lasciato dallo scrittore solo per me. Noi, da lettori, non vogliamo semplicemente sentirci raccontare una storia, vogliamo entrare in un mondo, percorrere un edificio, una strada, una città dalle solide architetture.

Lo scrittore non deve semplicemente raccontare una storia, ma costruirla. Solo così il lettore potrà entrare dentro al romanzo ed abitarlo. (E avventurarsi alla ricerca dell’ago).

... ringrazio Xenia per avermi segnalato questo pezzo, che, ancora una volta, mi ha fatto capire qualcosa in più...

9 commenti:

maria ha detto...

Un ago come simbolo di cura, pazienza e attesa. Mi viene da pensare che non a caso abbia scelto un piccolo strumento come l’ago, indispensabile per tenere insieme pezzi di stoffa, anche preziosi, che devono combinarsi fra loro in modo perfetto per realizzare la bellezza e l’eleganza di un abito. Basta un punto dato male, persino l’ago sbagliato, e il risultato rischia di essere deludente.
Magnifico questo articolo. Grazie Xenia per aver saputo trovare proprio questo...ago.

api ha detto...

splendida Maria.

Vlad ha detto...

'costruire una storia affinché la si possa abitare': proprio come si fa quando si progetta una buona architettura per l'uomo. Il che significa che non ci si deve limitare a realizzare un tetto per proteggersi dalla pioggia, imbellettando poi l'inutile involucro con fronzoli e cornicine.
Purtroppo la maggior parte di chi è titolato per progettare non lo sa.
Purtoppo la maggior parte della gente non lo sa, e vive in pessimi romanzi... E consuma l'esistenza in fabbricati che non sono Case fatte per abitare con i propri sogni.

maria ha detto...

Oh, Api, grazie.

E direi lucidissimo Vlad -
Romanzi come Case. Mi piace.
Da lettrice mi sento di dire però che, una volta che hai trovato la storia che si fa abitare, poi non puoi più abitare in nessun'altra storia che non sia dello stesso livello.
Per le case, invece, quelle vere intendo, quelle fatte di mattoni, bisogna riconoscere che non tutti hanno la fortuna e la possibilità di abitare quella dei propri sogni. Allora le si costruisce intorno un sogno ideale, anche piccolo, e la si ama ugualmente.

Vlad ha detto...

... del resto, come ha sostenuto Paolo Simonetti nell'intervento allo Scurano Cult Fest '09, la Casa ideale non esiste se non nei sogni, e nella memoria...

Vlad ha detto...

... perché la Casa Ideale è uno stato dell'anima

maria ha detto...

Però, mente interessante questo Paolo Simonetti... :-)

Vlad ha detto...

Cara Maria, vedrò di trasmettere il tuo pensiero all'amico Paolo... Ne sarà felicissimo.

Ben ha detto...

Faccio copia incolla parziale di quanto scritto in un post di settembre.

Quando inizio un libro cerco una storia appassionante, personaggi che riescano a coinvolgermi, e che mi tengano incollato alle pagine, invitandomi ad andare alla successiva, ma anche emozioni che risveglino i miei sentimenti, la mia sensibilità, la mia anima. I libri come cibo per l’anima, come spesso viene detto.
Mi piace leggere come un autore riesce a farmi vedere ciò che scrive, come riesce a trasmettere l’emozione di un suo personaggio tanto da farmi immedesimare in lui, mi piace quando un autore riesce a farmi vedere che la camicia di una sua eroina è gialla oppure quando mi fa capire che due personaggi stanno in silenzio oppure quando mi fa sentire il profumo di un fiore, senza che lo scriva.
Cerco un libro che abbia un’anima. Cerco un arricchimento interiore.