Ve ne solo alcune che mi hanno lasciato senza parole, francamente, come questa.
Parliamo di donazione degli organi... anzi no: di attesa di un organo
La donazione degli organi, in Italia, è una cosa di cui non si parla mai. Solo qualche volta, quando succede qualche fatto eclatante, qualche disgrazia, allora qualche tg o qualche giornale ne lancia un richiamo. Ma poca cosa. Perché parlare di donare gli organi, in Italia, sembra fare enormemente paura. Eppure i numeri sono impressionanti. Non solo di persone in attesa di un organo, ferme in lista aspettando di vedere se la loro vita andrà avanti. Un amico, Federico, un giorno ha detto “quando ero lì, che aspettavo, in lista, che arrivasse un nuovo fegato, ogni giorno che passava, non era un giorno in più, ma un giorno in meno”.
Per fortuna Federico ce l’ha fatta. Ora sta bene e ha anche un figlio. Ma quanti invece non ce la fanno? Troppi ancora. Troppi in un paese che non è l’Africa. Troppi in un paese che non è il terzo mondo. Troppi in un paese civile, di gente che studia, almeno sui libri.
Perché allora troppi muoiono? Se siamo un paese con una buona cultura, se siamo persone in grado di vivere in modo dignitoso (euro permettendo), se siamo persone capaci di votare un partito piuttosto che un altro. Perché non possiamo parlare anche di donazione degli organi? Quale è l’ostacolo per cui nessuno ne parla? Che cosa ci serve? Per forza una scusa grande, eclatante?
Io spero di no. Io spero veramente che non serva una tragedia come quella di Nicolas, morto ammazzato da delle pallottole mentre era in vacanza in Italia, per parlare di donazione degli organi.
Io credo che parlarne sia necessario. Credo che sia necessario andare nelle scuole, confrontarsi con i giovani. Parlare di morte. Perché da lì può nascere vita.
Ma le istituzioni non lo fanno. Ogni tanto qualche giornata per dire che l’AIDO esiste. Ma poi silenzio per mesi. Nessuno che parla mai di questo argomento. Tutti che parlano di “risvegli dalla morte” o di “dicevano che era morto invece era vivo”. Nessuno che parla di un bambino che sta aspettando un organo e di come passa la giornata. Avete presente come sia una giornata di un bambino di 5 anni che attende un trapianto? Ve lo siete mai chiesto?
E come sia quella di una persona adulta che aspetta un nuovo cuore? Quante volte salite e scendete dal marciapiede in una giornata? Quell’adulto a volte non può fare nemmeno questo.
Ma nessuno ci pensa. Tanto non ci riguarda. Non ci tocca mai. Fin tanto che il problema è fuori dalla nostra porta non ci si domanda mai “io cosa farei?”. Si lascia andare, ci si fa scivolare il problema addosso, diventiamo impermeabili. Tanto non tocca a noi.
Donare un organo? A che pro? Che cosa vuol dire? Che mi tolgono un pezzo? Queste sono le domande che mi fanno i ragazzi a scuola. E leggi la paura di venir “scuoiati vivi” nei loro occhi. Il terrore di un errore medico. E poi il fastidio di sapere che non hai più “un pezzo”. Egoismo. E allora ribalto tutto. Ribalto il problema. Lo faccio anche con voi.
Va bene. Non volete donare gli organi, scelta personale, discutibile ma accettabile. Ma se a voi servisse un organo? Ci avete mai pensato? Avete mai pensato che potreste essere voi ad aver bisogno di un trapianto? A non riuscire più a salire sul marciapiede perché il vostro cuore non regge? O vostro nipote, appena nato, che non ce la fa nemmeno a succhiare il latte dal seno materno? Che fareste? Non lo vorreste un organo nuovo? Vi lascereste morire cosi? Lo lascereste morire cosi?
Sono iscritta alla Associazione Italiana Donatori di Organi, Tessuti e Cellule da quando avevo 18 anni. Quando è nata mia figlia, Pamela, mai avrei pensato che quella tessera che portavo nella tasca fosse tanto importante. Ma quando Pamela ha avuto il trapianto di fegato, e aveva solo 5 mesi e 9 giorni, sono stata orgogliosa di quel tesserino. Felice di sapere che un giorno io potrò servire a salvare forse un altro bambino. E ora, che Pamela non sta bene, che è in rigetto cronico, che prima o poi dovrà subire un altro trapianto, mi chiedo: e se non troviamo un donatore? Se nessuno ha il cuore per fare una donazione? Perderò mia figlia. E la fiducia negli esseri umani. Che non capiscono che l’unico motivo di massima gioia è sapere che puoi aiutare qualcuno anche quando la tua vita qui sarà finita.
Pensateci. Pensatevi in un letto, con la speranza di sentirvi dire che c’è l’organo per voi. Pensatevi in un letto e pensate a quella scelta. Non aspettate che succeda una disgrazia per farlo. Potreste non avere il tempo per decidere e finireste per fare la cosa sbagliata.
Sofia Riccaboni
http://www.libertaedizioni.net/riccaboniPer un errore redazionale il libro è stato stampato in prime bozze.
Se ne aspetta la ristampa.
L'ho fatto presente a Sofia, anche se questo non toglie che il contenuto sia speciale.
10 commenti:
ci penso, spesso, come sarebbe se..
ci pensavo quando ero ricoverata in ospedale e incontravo, li' in reparto, persone in attesa del trapianto di un rene, o altri che ne avevano solo uno e avevano paura. o quando mia madre era ricoverata in cardiochirurgia e vedevo passare in corridoio un bambino, forse 13 anni, in attesa di un cuore disponibile, era magro, pallido, con occhi da adulto. non desidero dimenticare o rimuovere quel tipo di 'conoscenza'.
so, perchè mi è stato riferito da una persona in attesa di trapianto, che c'è anche un lato pesantissimo da punto di vista psicologico: sapere che attendi la morte di qualcuno per poter vivere.
anche se tu nn c'entri niente. coraggio, ci vuole un immenso coraggio. auguri.
Bel post.
Massimo aveva 16 anni.
Peste scatenata sin da bambino, a scuola collezionava note e rimproveri, così come i suoi compagni collezionavano figurine di calciatori.
I genitori furono persino chiamati a rimborsare un armadio che aveva rotto, dopo averci “soggiornato” per l’ennesima volta durante una lezione.
“Quella” volta no, non fu colpa sua.
Sul motorino ci era appena salito.
La mamma, in casa, si era allarmata al suono dell’ambulanza. Era scesa, un brivido lungo la schiena, con la strana certezza che quel “frastuono” la riguardasse.
La corsa verso l’ospedale, le ore di attesa.
Infine poche, agghiaccianti parole e la richiesta dei medici: ve la sentite? Bisogna fare presto però. Spietati, per necessità.
Quegli organi donati nell’istante in cui perdevano il figlio furono un’àncora cui aggrapparsi ogni volta che lo strazio e la disperazione li assalivano: qualcuno poteva continuare a sorridere grazie al loro Massimo, che aveva 16 anni ed era bello con i suoi riccioli scuri e lo sguardo furbetto.
dico a sofia di venire a leggere il risultato della sua riflessione.
basterebbe che ci iscrivessimo tutti al'Aido.
Basterebbe (e parlo per me) che provassimo ad avere meno paura....)
@xenia....per cosa ci vuole più coraggio? per donare o per ricevere??
@mik.. grazie...
@maria... ho i brividi Maria.. 16 anni aveva il ragazzo che a Legnano con un incidente in motorino ha perso la vita e salvato quella di Pamela.. era il 18 novembre 1999...
@api...sono iscritta all'AIDO da quando avevo 18 anni.. ma non basta.. dobbiamo diffondere la cultura della donazione.. dobbiamo diffondere l'amore per il prossimo.. dobbiamo diffondere la speranza che a qualcosa serva..
cara Sofia, intendevo: per dare e per ricevere.
In fondo, è anche un modo per garantirsi una parvenza di immortalità: continuare a vivere, oltre che nel ricordo degli altri, anche nel corpo.
Maria, Sofia sta cercando di mettersi in contatto con te... ti ho mandato un'email.
bacione.
Ti ho risposto Pia.
Ciao, scusate, sono di corsa stamattina. Torno nel primo pomeriggio
Grazie Sofia. Hai risvegliato un pensiero ricorrente. Che però viene sempre rimandato; per inerzia, per stanchezza, per la fretta, perché 'ci penserò domani'... Per paura? No, per paura forse no; probabilmente, in qualche modo, per esorcizzare, rimandando. Sicuramente non per scelta ideologica. Sappiamo che la tua scelta è la scelta giusta, in ogni senso.
E' una scelta che dovremmo fare tutti. Di questo sono convinto, sappiatelo.
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